Ciao Cristina, nel 2008 hai esordito con il tuo primo documentario dal titolo “Il carnevale di Dolores”. Quali erano le tue aspirazioni prima di esordire e da dove nasce la tua passione per il cinema?
Da ragazza ho frequentato varie scuole di recitazione, e per alcuni anni ho fatto l’attrice. È questo mestiere che mi ha insegnato innanzitutto cosa sia “dar vita a un personaggio”, restituirgli la dignità. Dal 2003 al 2005 tenni poi un laboratorio con gli studenti al teatro Ateneo dell’Università La Sapienza a Roma, intitolato appunto “Il personaggio come persona”. È quindi partendo dalla recitazione che ho imparato alcune cose importanti che riguardano la regia: la tensione drammaturgica di un personaggio, che in senso più ampio vale poi per lo stesso racconto cinematografico, con il suo climax, le sue sorprese, la tenuta di uno stato d’animo. L’ironia di tutto è che invece di iniziare col cinema ho iniziato col documentario! Qui non c’è nessun attore da dirigere, ma devi comunque seguire e raccontare il corso degli eventi cercando di farlo virare nella dimensione artistica.
Il fatto che le donne registe siano ancora una minoranza sembra poco interessante per le istituzioni. I dati statistici dicono che lavorano prevalentemente gli uomini, come se il cinema fosse riservato solo a loro… Cosa pensi a riguardo?
Detto francamente essendo completamente immersa nel mio lavoro, non accuso molto questa discriminazione. Ma ora che mi ci fai pensare, forse dovrei indignarmi per questo e fare maggiormente squadra con le donne che a vario modo protestano. Posso dirti però che la dose di “machismo”, e i relativi “giochetti di potere” che ci sono in Italia possono essere di una bassezza di livello imbarazzante, ma mi ci sono scontrata molto di più quando facevo l’attrice, che da regista.
Che consigli potresti dare a una documentarista esordiente di vent’anni, oggi?
I documentaristi e le documentariste sono una specie che andrebbe protetta, per fortuna non in estinzione. A un giovanissima che si avvicina al documentario suggerirei di cercare di attrezzarsi con una buona camera e un buon microfono e di prendere confidenza col montaggio, per arrivare a essere il più indipendente possibile. Le direi anche di nutrirsi di buon cinema, guardando e studiando i documentari e i film dei grandi maestri. E alla fine le consiglierei vivamente di sentirsi libera di scegliere le tematiche su cui focalizzarsi, mettendosi a filmare quando sta “scoppiando” dalla necessità di dire qualcosa.
“Le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente” eppure “le donne sono la colonna vertebrale della società” affermava la straordinaria Rita Levi Montalcini. Pensi ci sia un modo efficace per superare la disparità tra uomo e donna in ambito cinematografico?
Concordo che le donne spesso lavorano doppiamente, a partire dalle madri di famiglia, per finire con le guerrigliere in ogni campo che lottano con un’abnegazione e risorse estranee alla maggior parte degli uomini. Credo che si possa superare ogni sorta di disparità quando si ha una personalità che fa la differenza. È una questione d’identità. E questo vale per qualsiasi ambito. Un fatto di autostima e consapevolezza dei propri limiti almeno quanto del proprio valore, in questo caso necessariamente umano e artistico. E poi non dimentichiamoci della luna, di trovare un modo d’interagire con questa nostra preziosa alleata, che volteggia lieve e compie ellissi dal femminile al femminile…
(a cura di Francesca Fracasso)