Sguardi Altrove intervista Roberta Torre

Prima di studiare regia cinematografica ha studiato drammaturgia. Che importanza hanno per lei gli studi teatrali all’interno della visione registica per la settima arte?
Molta. Non credo che il cinema e il teatro siano due mondi lontani e separati e in generale non credo alla separazione delle discipline artistiche. Cinema Teatro Musica sono linguaggi che vanno mescolati e attraversati contemporaneamente. Il cinema e la pittura sono universi complementari, spesso in Italia lo si dimentica, avendo una tradizione cinematografica forte che viene dalla scrittura non significa che il cinema non sia anche pittura in movimento.
Lei è ormai una regista affermata, il suo film “I Baci mai dati” è stato candidato al Sundance Film Festival e ha ricevuto il premio Brian alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Ha avuto difficoltà nel far sentire la sua voce di donna e di artista durante il suo percorso?
Certo, ho avuto e tuttora incontro ogni sorta di ostacoli, non  in quanto donna, ma in quanto artista. Ogni artista li incontra e il superamento di questi ostacoli fa parte del suo percorso, potrei dire che lo definisce e lo caratterizza. L’ostacolo e il suo superamento sono esattamente  il limite che va superato nella creazione artistica. Come farlo, come superare questo limite ogni volta  è  la sfida più importante, o almeno una delle più importanti per chi crea. Detto questo in quanto regista e autrice donna ho avuto anch’io le mie difficoltà legate specificamente all’essere donna. Ho avuto  la sensazione di una costante messa in discussione a priori di quanto volessi realizzare, altre volte ho assistito a processi di furto con destrezza di idee. Con il tempo ho imparato a superare ostacoli, aggirarli, utilizzarli. Diciamo che con il tempo ho imparato a gestirli. Mi hanno fatto diventare forte e mi hanno dato la misura di quanto tenessi alla  libertà espressiva e a difendere la mia visione. Infine un autore, un regista è comunque uno spirito ardimentoso.
Parliamo della potenzialità artistica delle donne. Prima della produzione di un’opera c’è lo step della formazione. Qual è la sua visione a riguardo?
Un’approssimativa formazione genera spesso  una visione superficiale e spesso solo ideologica. La formazione  è determinante in un momento storico in cui la competitività è alle stelle. Come formarsi e che percorso fare oltre gli stereotipi di genere diventa fondamentale per poter esprimere appieno la propria visione del mondo. Non parlo solo di una formazione tecnica, assolutamente importante certo, ma innanzitutto di una formazione umanistica e spirituale, senza la quale è inutile creare. Ogni  artista ha una strada diversa dalle altre e non basta il genere a stabilire una strada comune. Certamente ci sono dei punti in comune, ma l’espressione delle proprie potenzialità passa di volta in volta per esperienze di vita e di conoscenza diverse. Questa diversità è preziosa e va percorsa fino in fondo. Nonostante tutto credo nell’eccellenza della formazione  per superare gli ostacoli.
La questione delle registe donne sembra poco interessante per le istituzioni. I dati statistici dicono che lavorano prevalentemente gli uomini. Pensa che questo fatto vada ricondotto a una matrice di valore culturale?
In Italia certamente. È sempre una questione di potere, il potere femminile è complicato da accettare e da gestire. Una donna regista ha il potere di un immaginario e lo esprime, tanto più forte sarà  la sua voce tanto più ci si dovrà confrontare con la sua visione. Molti uomini non sono preparati a farlo, mancano loro i codici per farlo e il coraggio. Dunque evitano il confronto ed eludono la questione. Ci vogliono  più donne in posti di potere  che possano  garantire la nascita e la proliferazione di codici femminili. Ma attenzione, non basta essere donna per favorire una visione femminile. Anche tra donne esiste una forte competitività e molte donne  abbracciano e riproducono spesso senza rendersene conto una visione patriarcale. Siamo giunti al punto di  dover imporre “quote rosa” nel cinema . Il che denota una voragine di mancanza. Ma sono a favore, certamente. Il cinema come ogni altra arte ha una necessità  di pratica continua, di messa in opera. Dunque non si può crescere se non si è messe nelle condizioni di lavorare. Il gioco è quello delle possibilità. Puoi avere le idee più belle del mondo, ma se non le metti in pratica restano solo idee. Il cinema inoltre necessita di investimenti e finanziamenti adeguati, se fatto a certi livelli qualitativamente professionali. E quindi la partita si gioca anche sul piano economico. Non tutti i film si possono realizzare con budget ridotti perché il risultato è  fallimentare.
Secondo lei la direzione di genere femminile si nota perché ha uno sguardo diverso?
Credo nello sguardo di genere quando è sorretto dal talento e dal coraggio che ogni artista dovrebbe avere. Non a priori. Non amo le generalizzazioni e la retorica sul femminile. Lo sguardo femminile mi piace maggiormente quando è rivolto a tematiche e storie che non si limitano ad esplorare gli aspetti esplicitamente femminili della realtà e si spinge in mondi comunemente definiti maschili, ma in realtà semplicemente universali. Con questo non intendo dire che le tematiche  ritenute femminili di appartenenza non trovino nelle registe donne una visione originale, ma non è sempre così. Generalizzare è pericoloso.
Riguardo alla ‘regia al femminile’ nota diversità fra la situazione italiana e quella all’estero? Pensa che la questione sia legata strettamente a motivi registici o si può ricondurre a determinate scelte di produzione?
Certamente sì. Non è un mistero che le cinematografie europee, la tedesca o la francese abbiano più cura e siano più orgogliose delle proprie autrici. L’Italia considera le donne autrici come quelle zie fastidiose che devi sopportare al pranzo di Natale sapendo che tanto le rivedi un anno dopo.
Cosa consiglierebbe alle giovani donne che vogliono intraprendere il mestiere della regista?
Consiglio il Coraggio, la Libertà,  la Forza. Praticare queste strade prima di ogni altra cosa, esplorarle fino in fondo, andare oltre gli stereotipi, soprattutto quelli di genere. Per scrivere e filmare una nuova storia del cinema ci vogliono visioni incantevoli e nervi saldi.
(A cura di Maria Ester Equi)

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Foto (c) Maurizio Camagna